La linea superiore degli alberi nelle Alpi: cos’è e cosa sta succedendo

di Adriano Losso


Quando sentiamo parlare di cambiamenti climatici e Alpi, le prime cose che ci vengono in mente sono l’inesorabile ritiro dei ghiacciai, il prosciugamento dei laghi alpini di origine glaciale, e la continua riduzione della copertura nevosa invernale. Purtroppo, però, il costante aumento delle temperature sta anche influenzando la vegetazione alpina e di conseguenza la linea superiore degli alberi (in inglese “alpine treeline”), che mutando, può creare pressioni sugli ecosistemi limitrofi.

Linea composta per lo più da pino cembro e in parte da abete rosso (Adriano Losso ©).

La linea

La linea superiore degli alberi è un confine naturale molto netto che si nota osservando i versanti delle nostre Alpi, in cui gli alberi da fusto, alti almeno 2-3m, smettono di crescere lasciando spazio ad un altro tipo di vegetazione priva di alberi. In ecologia questo tipo di transizione viene chiamata ecotono, cioè un ambiente di transizione tra due ecosistemi. Le specie principali che compongono la linea degli alberi sono le conifere, tra cui l’abete rosso, il pino cembro, il larice, e qualche volta il pino mugo e il ginepro; tutte sempreverdi tranne il larice che perde gli aghi in autunno. Questi alberi formano quindi le foreste alpine, tra i 1200–1400 metri e i 2000–2200 metri di altitudine, ed è qui che si trova la linea superiore degli alberi. Uno dei motivi principali per cui gli alberi non crescono ad altitudini maggiori è la riduzione delle temperature. Infatti, solo se durante il periodo vegetativo (in estate) le temperature medie sono maggiori o uguali a 5-7°C, gli alberi possono mantenere i processi metabolici che regolano la loro crescita.

Da più di cinquant’anni, la linea superiore degli alberi suscita l’interesse di botanici ed ecologi, e tra gli aspetti più affascinanti ci sono gli adattamenti fisiologici che permettono la crescita e la sopravvivenza di questi alberi alle condizioni meteorologiche poco favorevoli che si trovano a queste altitudini. Chi studia questi aspetti è l’ecofisiologo, che si occupa dello studio delle risposte fisiologiche degli organismi viventi a stressori ambientali e/o di origine antropica, e della loro capacità di adattamento e alterazione delle diverse funzioni fisiologiche.

In autunno, la diminuzione delle temperature di suolo e aria induce la chiusura degli stomi, strutture fogliari composte da due cellule specializzate che regolano lo scambio gassoso tra pianta e ambiente, quindi evitando la perdita di acqua attraverso la traspirazione e riducendo l’assorbimento di anidride carbonica per la fotosintesi. Non potendo così usufruire della copertura nevosa, questi alberi sono completamente esposti a venti forti, che spesso trasportano frammenti di neve o ghiaccio che possono danneggiare la superficie degli aghi. Inoltre, gli alti livelli di radiazione solare, che venie ulteriormente amplifica dalla riflessione della neve, portano ad un aumento della temperatura degli organi che sporgono al di fuori del manto nevoso. Questa combinazione di eventi fa perdere grandissime quantità di acqua che non possono essere rimpiazzate poiché i suoli sono congelati per la maggior parte dei mesi invernali. In eco-fisiologia questo tipo di stress viene definito “frost drought”, cioè una siccità causata dal gelo.

Diversi studi hanno riportato che alberi come l’abete rosso, il pino cembro e il larice, possono perdere quantità sostanziali d’acqua nel periodo invernale, che in combinazione ai cicli di gelo e disgelo all’interno delle cellule dedicate al trasporto d’acqua (il cosiddetto xilema) causano vere e proprie ostruzioni nel loro sistema di conduzione dell’acqua. Tuttavia, è stato dimostrato che già a fine inverno/inizio primavera questi alberi riescono a ristabilire il loro stato idrico e ad iniziare le prime attività fisiologiche grazie ad adattamenti specializzati. Uno dei più affascinanti, è quello dell’assorbimento di acqua tramite gli aghi e la corteccia dei rami. Lo scioglimento della neve gioca quindi un ruolo fondamentale nella sopravvivenza di questi alberi, quando le temperature cominciano ad alzarsi ma i suoli e le radici sono ancora congelati.

Gocce d’acqua su aghi di pino cembro che possono essere assorbite in caso di stress idrico (Adriano Losso ©).

Scenari futuri

La linea superiore degli alberi può presentare due forme principali: brusca (“abrupt” in inglese), quando la foresta è continua fino alla massima altitudine dove forma un confine netto con altri tipi di vegetazione; e diffusa (“diffuse” in inglese), quando il bosco si apre gradualmente fondendosi con la vegetazione di bassa statura. Una graduale apertura del bosco sembra garantire più luce e un maggior riscaldamento della zona radicale degli alberi isolati, quindi garantendo una maggiore produttività, ma anche maggiori danni invernali. Al contrario, i popolamenti chiusi creano un clima interno omogeneo e favorevole alla sopravvivenza. Entrambe le forme possono rappresentare due fasi dello stesso ecotono del limite degli alberi, andando a riflettere le dinamiche naturali del popolamento, come rigenerazione, mortalità e disturbi passati. Nel corso di alcuni decenni, una forma brusca può frammentarsi, mentre una forma diffusa può chiudersi fino a formare una linea di confine netta.

Dato che il limite della linea superiore degli alberi è dettato dalle temperature estive, ci si aspetterebbe un avanzamento verso altitudini maggiori dovuto al riscaldamento climatico. Tuttavia, la situazione è un po’ più complicata. Come spesso accade in natura, sono coinvolti più fattori. Una recente analisi delle pubblicazioni degli ultimi decenni ha infatti riportato che solo la metà delle linee degli alberi nell’arco alpino europeo sembra aver migrato verso l’alto. La maggior parte di queste osservazioni ha riportato avanzamenti minori per quanto riguarda le linee brusche ed avanzamenti più notevoli per quelle diffuse. Queste differenze indicano che un confine netto tra vegetazione arborea e non arborea può essere dovuto a fattori che limitano l’insediamento o la sopravvivenza delle piantine al di sopra dell’attuale limite del bosco. Infatti, gli avanzamenti delle linee diffuse sembrano essere particolarmente correlati ai cambiamenti nella gestione dell’uso del territorio e alla diminuzione della pressione del pascolo, in quanto gli alberi hanno semplicemente riempito gli spazi vuoti.

Alberi isolati di abete rosso, che facendo parte di una linea diffusa sono completamente esposti alle intemperie invernali (Adriano Losso ©).

Oltre alla presenza di condizioni favorevoli per la crescita, molti altri aspetti sono cruciali per l’insediamento e la sopravvivenza di nuove piantine al di sopra dell’attuale linea superiore degli alberi. Tra questi vi sono fattori microclimatici, come la disponibilità di acqua nel terreno o una maggiore esposizione ai venti per l’assenza di alberi vicini. Anche la competizione diretta con altre piante gioca un ruolo importante, poiché le condizioni favorevoli presentate dall’abbandono dei pascoli sono perfette anche per l’insediamento di arbusti pionieri. Inoltre, una volta insediata, ci vorranno circa 50 anni affinché una piantina diventi un albero di 2 metri alle condizioni climatiche che si trovano ad altitudini elevate.

È importante far notare che l’avanzamento del limite degli alberi nelle Alpi non rispecchia i trend mondiali, in quanto in altre regioni sono stati osservati avanzamenti di scala maggiore sia altitudinali che latitudinali, ma non per questo il fenomeno è da sottovalutare. Anche se le tempistiche non sono immediate, nei prossimi decenni l’aumento delle temperature andrà sicuramente a stimolare cambiamenti nella vegetazione al di là del limite degli alberi, andando così a creare diverse pressioni sulle specie vegetali, e di conseguenza sulle specie animali di alta montagna, in quanto i loro habitat verranno modificati. Questo è particolarmente vero per gli hotspot di specie endemiche situati nelle catene montuose periferiche delle Alpi, con cime piuttosto basse, che non sono state ghiacciate durante le glaciazioni del Pleistocene.

Manina rosea (Gymnadenia conopsea) con Hoplia sp. tra gli spazi di una linea superiore composta da abete rosso, larice e pino mugo (Adriano Losso ©).

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