
di Andrea Di Pasquale
Questa storia comincia più di venti anni fa, in un villaggio vacanze nel Nord della Sardegna, in cui trascorrevo le vacanze estive con mia mamma e mia zia, mentre mio padre, essendo al tempo capo scout, spendeva le sue ferie con i ragazzi che nell’anno 2003 erano impegnati in un’escursione estiva in Barbagia, nel massiccio del Gennargentu. Dal suo viaggio, mio padre portò due corna di muflone trovate lungo il cammino, che ancora conservo gelosamente in soffitta. Quel regalo e quell’esperienza, vissuta come un sogno nel racconto di mio papà, furono una scintilla che accese nell’immaginario di un bambino il fuoco della scoperta e il fascino per l’entroterra sardo che ai miei occhi appariva misterioso, oscuro a volte e selvaggio, e i suoi animali, in particolare il muflone, avevano per me un’aura magica e inarrivabile. Fu uno degli incipit che sicuramente diede il via alla passione per le esplorazioni nella mia isola e uno dei tanti stimoli che mi spinse anni dopo a comprare una macchina fotografica e approcciarmi alla fotografia naturalistica.

I Mufloni del monte Corrasi
Con un salto “spazio-temporale” al presente, negli ultimi anni sono riuscito a soddisfare in gran parte le aspettative di quel bambino. Mi trovo nel luogo in cui sono state scattate queste fotografie, nel monte Corrasi (1462 m), la cima più alta dell’altopiano carsico che si trova nella zona centro-orientale dell’isola, denominata Supramonte. Questo ambiente, aspro e austero, per la sua natura geologica non presenta bacini idrografici e l’acqua la si trova nel fondo di sorgenti e grotte immense nel cuore della montagna, o in piccole risorgive in zone in cui il basamento granitico affiora e ne consente l’accumulo. È il regno dei ginepri e del vento, un oceano impervio di rocce che dà spazio a valli di profonda macchia mediterranea, doline, canyon e fu in un tempo non troppo lontano, la casa di pastori e latitanti.

Nel paese di Oliena, centro abitato alle falde del Corrasi, l’evoluzione della pastorizia ha portato gli allevatori ad abbandonare la loro dimora millenaria, sia per via delle richieste di mercato, in quanto l’allevamento di ovini è ormai prediletto, sia perché le condizioni di vita nel Supramonte erano e rimangono estreme e il gioco non vale la candela: si trovano pochi greggi di capre e alcune mandrie di vacche in giro per il monte e nelle sue vallecole principali.

L’altopiano è ormai abitato unicamente dalla sua fauna selvatica, e i suoi “big five”, per cosí dire, sono: volpe, cinghiale, martora, aquila reale (sempre più difficile da osservare) e il Muflone. Il Muflone (Ovis musimon), di dubbia origine filogenetica, è un parente reinselvatichito della pecora, probabilmente introdotto in passato dai popoli che navigavano nel mar Mediterraneo e colonizzarono Sardegna e in Corsica; un po’ come molti autori pensano sia avvenuto con il Cervo sardo (Cervus elaphus corsicanus). Il suo progenitore comune è molto vicino all’Ovis orientalis, un’altra specie di muflone presente in Medio Oriente e in Asia minore. La specie ha subito un forte declino dovuto principalmente all’abbattimento da parte dell’uomo, più che alla riduzione dell’habitat. Questo declino ha portato la specie a contare circa 300 esemplari in tutta l’isola alla fine degli anni ’70; fortunatamente, a oggi, la specie nell’isola conta più di 6000 capi censiti, e i siti in cui è maggiormente presente sono Il Montiferru e il Gennargentu. Sebbene mi sia capitato di osservare grandi mandrie miste, il muflone è un animale sociale che si muove in gruppi sessualmente distinti per gran parte dell’anno, eccetto nel periodo riproduttivo, La popolazione di mufloni del Monte Corrasi è cospicua, anche se a mio parere non si può individuare un gruppo che risiede unicamente e stabilmente nel monte e alle sue pendici, dato che si parla di un’area vasta ma non per pascolatori come i mufloni, che all’occorrenza scendono a valle distruggendo il raccolto di terreni e vigne e, se disturbati, si spostano a grandi distanze: la montagna stessa è collegata con la sua cordigliera calcarea alla foresta millenaria di Montes (Orgosolo) e più a sud al Supramonte di Urzulei e le barriere geografiche, che per noi umani sono confini territoriali, sono facilmente attraversabili da questi abili arrampicatori che si muovono agilmente nelle pareti verticali di pietraie, crepacci e gole. L’alimentazione di questa specie è sostanzialmente costituita dalla macchia della gariga montana e le piante officinali che in primavera tingono e profumano meravigliosamente il paesaggio lunare del Corrasi

Il Racconto dietro lo scatto
Amo questa montagna, e ho speso alcuni mesi nel suo scenario a osservare i mufloni per scattare alcune foto che avevo in mente: agili, silenziosi, timidi, eleganti, sono questi gli aggettivi che userei per descriverli in breve.

Seguendo alcuni scritti tramandati dai vecchi caprari del paese di Oliena, centro abitato alle falde del monte, ho studiato le abitudini e i movimenti di questi animali. Sebbene sia un appassionato di primi piani, desideravo però anche portare a casa un ritratto ambientato. Studiando il comportamento di numerosi esemplari avevo trovato lo spot perfetto per lo scatto che cercavo. Frequentando assiduamente il Supramonte di Oliena, conosco parecchi “cuiles”, parola sarda che viene usata per identificare gli antichi rifugi e case dei pastori, che si trovano sparsi in vari punti della montagna, perlopiù vicino a zone in cui si trovano approvvigionamenti idrici facilmente raggiungibili (forre, grotte o pozze) e vallecole. Il cuile “Vadde Sa Mandra” si trova a ridosso della cima del Corrasi, in uno spazioso pascolo montano sormontato da alcune querce secolari.

È qua che spesso ho visto passare gruppi di femmine, le mufle, e alcuni maschi in gruppi di tre o quattro che, nel periodo dell’accoppiamento e cioè in tarda estate e autunno, si sarebbero scontrati per ottenere il dominio dell’harem. In questa area del monte la sera, puntualmente, i mufloni scendono verso le zone vegetate dal leccio e il ginepro, per passare la notte e poi risalire al mattino verso pascoli più elevati dove nelle giornate soleggiate d’autunno il sole riscalda le placche calcaree. Il mio piano era quello di appostarmi, all’alba, nel punto di passaggio di alcuni individui che seguivo dalla primavera ed ero sicuro che, se non fosse stata quella volta, o la volta dopo, alla terza occasione sarei riuscito a trovare sotto di me un maschio da immortalare.

Mi sveglio nel rifugio e il sole non è ancora sorto, vado allora su una grossa lingua di pietra che mi consente di avere una visione a 360° di ciò che mi circonda, mi godo l’alba, l’emozione è sempre la stessa, e poi succede l’inaspettato: un bellissimo esemplare, che avevo incontrato la sera prima circondato da 3 femmine, mi osserva da un masso che stava dietro di me, anticipando il mio arrivo. È in posa, è la foto che cercavo, “click!”. La giornata è appena iniziata ma posso già tornare a casa. La natura è imprevedibile e, nella sua purezza e perfezione, a volte, non ci dà la possibilità di farsi raccontare, se non nel momento infinitesimale di uno scatto. Buona luce.


