Morti due orsi marsicani: Salviamo L’Orso risponde

Intervista a “Salviamo l’Orso”


La morte di due giovani orsi bruni marsicani lascia un vuoto incolmabile sulle montagne degli Appennini. Per l’ennesima volta, degli esemplari di una delle sottospecie di orso più minacciate al mondo perdono la vita a causa dell’uomo. Tra l’incuria degli Enti preposti e le difficoltà di intervento, nuove vite si spengono in silenzio. Che ruolo ha la comunicazione nella conservazione di specie minacciate? Di chi è la responsabilità di queste morti? Come sarà il futuro dell’orso bruno marsicano?
Lo scopriamo insieme attraverso questa intervista di Gianluca Damiani, redattore di Terra Magazine, a Valeria Barbi responsabile della comunicazione e Serena Frau project manager e responsabile della relazione con gli stakeholder di Salviamo l’Orso, associazione che da anni si occupa della conservazione dell’orso bruno marsicano.

Come avete vissuto, come associazione, la morte di questi due giovani esemplari? Cosa significa per voi?

È una perdita enorme innanzitutto dal punto di vista strettamente ecologico, visto che rimangono circa 60 esemplari di orso bruno marsicano, una specie che, ricordiamolo, è gravemente minacciata di estinzione, endemica dell’Appennino centrale e che svolge un ruolo molto fondamentale all’interno dell’ecosistema in cui vive. Ma è anche una perdita dal punto di vista sociale e personale. Associazioni come la nostra lavorano strenuamente ogni giorno, sul territorio, per evitare che succedano cose come questa, per favorire la coesistenza e diffondere educazione ed informazione. Perdere due giovani orsi in questo modo non ha senso. Tanto più considerato che sapevamo che sarebbe potuto accadere e da anni combattevamo per mettere in sicurezza l’area.

Perché mettere in sicurezza questo tipo di bacini artificiali, anziché smantellarli del tutto? Non si tratta solo di proteggere l’orso, ma anche tanti altri animali (anfibi, uccelli e piccoli mammiferi) che spesso trovano la morte in questi bacini. Purtroppo, solo alcune morti fanno rumore. Ad oggi, ad esempio, bacini per accumulo di risorse idriche per impianti sciistici non vengono più utilizzati.

Sia smantellamento che messa in sicurezza sono operazioni difficili e costose. È necessario fare i conti con la legge e la burocrazia, senza contare che alcune di queste strutture si trovano in aree di proprietà privata e questo complica ulteriormente le cose. Tuttavia, Salviamo L’Orso continua a sollevare la questione. Nel Sirente Velino, ad esempio, ci sono invasi per la neve artificiale sia ad Ovindoli che a Campo Felice. Li abbiamo segnalati ma ancora non si è mosso nulla. Oltre ai bacini da innevamento, bisogna fare i conti anche con gli abbeveratoi. L’Appennino centrale, infatti, è un ambiente carsico ed è caratterizzato da un clima piuttosto arido. Per questa ragione, in passato, i pastori costruivano delle vasche, di dimensioni variabili, per raccogliere l’acqua piovana da utilizzare durante il periodo estivo. Queste vasche, una volta indispensabili, sono ora abbandonate e costituiscono una vera e propria trappola per gli animali selvatici che entrano per abbeverarsi e rinfrescarsi ma non riescono ad uscire. E questo, come giustamente sottolineate, non riguarda solo gli orsi. Non esistono animali di serie A e di serie B: ogni individuo di ogni specie ha un ruolo ecologico fondamentale. Nel 2010 due orsi sono stati trovati morti annegati in una di queste vasche, la tragedia si è ripetuta nel 2018 dove a perdere la vita sono stati una mamma orsa con i suoi due cuccioli. In seguito a questi gravissimi eventi, Salviamo l’Orso ha iniziato a impegnarsi per mappare e mettere in sicurezza, o chiudere, queste vasche. Data la grande variabilità nelle dimensioni e nella posizione delle vasche, gli interventi della nostra associazione variano dalla semplice chiusura con una griglia, allo smantellamento della pozza, fino all’intervento di compagnie di costruzione che prendono in carico il lavoro. Vista la scarsità di acqua nei periodi di siccità, quando possibile, cerchiamo di mantenere fruibili queste vasche costruendo delle rampe di risalita che consentano agli animali di uscire.

I tecnici di Salviamo l’Orso durante il primo intervento di messa in sicurezza del bacino artificiale, nel 2021 (© Salviamo L’Orso)

Qual è il ruolo concreto di Enti, Istituzioni e Associazioni in questa vicenda? Chi avrebbe dovuto fare qualcosa in più? 

La nostra associazione aveva da tempo segnalato la pericolosità del luogo e la necessità di provvedere quanto prima alla sua messa in sicurezza rendendosi anche disponibile a pagare le relative spese. Già nel 2021, dopo averne informato il Comune, avevamo tentato con i nostri mezzi, e grazie ai nostri volontari, l’installazione di 4 rampe in metallo, una per ciascuna sponda del bacino, ancorate ai pochi pali ancora stabili della recinzione perimetrale in legno e rete, troppo bassa per evitare lo scavalcamento da parte di orsi e della fauna selvatica. Dopo il primo intervento e le relative verifiche, avevamo però constatato che le rampe erano state severamente danneggiate e rese inutili per la loro funzione dalla neve e dal ghiaccio che le avevano dissaldate e trascinate in acqua. Così, nel luglio del 2022, considerato anche il rischio per le persone, l’associazione aveva allertato nuovamente l’Amministrazione di Scanno della necessità di intervenire con la realizzazione di una robusta recinzione perimetrale metallica, alta circa 3 metri e interrata di 50 cm (cosiddetta “paragatti”). Le interlocuzioni con il Comune sono sempre state difficili e improntate ad un atteggiamento supponente e finalizzato ad evitare qualsiasi tipo di spesa, anche quando i soldi gli erano stati messi a disposizione da noi, da Rewilding Apennines e dal Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.

Un’orsa con i suoi cuccioli in un area del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, attraversando un’area verde ( © Gianluca Damiani)

È giusto che siano le associazioni di volontariato a colmare le mancanze degli Enti pubblici? Quanto pesa questa responsabilità su chi, come voi, agisce con risorse limitate ma grande impegno?

La conservazione della natura deve essere un gioco di squadra, in cui ognuno, dal comune cittadino all’Ente pubblico passando per le associazioni, si prende le proprie responsabilità e dovrebbe mettere a disposizione i propri strumenti e le proprie capacità. Non è giusto che un’associazione debba andare coprire le mancanze degli Enti ma, purtroppo, è una realtà con cui facciamo i conti da sempre e, al momento, non ci sono concreti segnali di cambiamento. Le Amministrazioni, spesso mosse da finalità meramente politiche, continuano a non avere una visione concreta a lungo termine. Si riduce sempre tutto ad interessi economici e a personalismi inutili.

Che obiettivi si pone e attraverso quali azioni concrete, Salviamo l’Orso per sensibilizzare il pubblico sulla conservazione di questa specie? 

Il nostro obiettivo principale è educare, informare le persone, lavorare con le comunità locali per capire quali sono le loro esigenze reali e percepite, così come con enti e istituzioni per promuovere la coesistenza sia con l’orso bruno marsicano – che è al centro dei nostri sforzi – che con le altre specie con cui condivide il territorio. È un approccio sistemico e inclusivo. Abbiamo all’attivo tanti progetti concreti che vanno dalla rimozione del filo spinato alla messa in sicurezza degli abbeveratoi, passando per il monitoraggio di altre specie… Il tutto con il contributo fondamentale di tanti volontari che, ogni anno, ci raggiungono da tutto il mondo. Abbiamo anche una riserva, “Le Macchietelle”, che gestiamo con l’intento di lasciare spazio alla natura e far vedere, a chi ci viene a trovare, che cosa si può riuscire a fare con un po’ di impegno e costanza.

Come si possono trasformare eventi tragici come questo in strumenti di comunicazione e consapevolezza? C’è chi potrebbe usare episodi come questo per fini politici o polemici: secondo voi, si rischia una strumentalizzazione? 

Purtroppo, episodi come questo fomentano tutti coloro che non aspettano altro che una scusa per dire che le associazioni e gli enti locali come il Parco potevano fare di più. Eppure, nei giorni in cui le emergenze non sono “social”, queste persone – così come le Pubbliche Amministrazioni – non le vediamo scendere in campo a darci una mano. C’è sempre una scusa per additarci, sperando di ricevere in cambio un po’ di visibilità. È un atteggiamento che ci ferisce e che non aiuta di certo la causa. In fondo, ci auguriamo sempre che le persone capiscano l’importanza di fare squadra, pur essendo consapevoli che non è immaginabile una situazione in cui andiamo tutti d’accordo. Ma poi ci scontriamo con la dura realtà che ci dimostra costantemente come sia più facile giocare il ruolo del leone da tastiera che impegnarsi sul campo e sporcarsi le mani. E va bene così. Da parte nostra, eventi come questi sono dure lezioni da cui cerchiamo di imparare, di sviluppare nuovi progetti e occasioni di dialogo e coinvolgimento per chi è davvero interessato a fare qualcosa di concreto. Facciamo il massimo e continueremo a farlo.

Un’orsa con due cuccioli attraversa un’area urbana al di fuori del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (© Andrea Amici)

Perché spesso si comunica solo dopo che si verifica una tragedia, e non prima? La tempestività non potrebbe aiutare a prevenire e far emergere eventuali responsabilità? 

La nostra comunicazione, e quella degli enti con cui collaboriamo, è normalmente tempestiva e continuativa. Purtroppo, però, sono sempre gli incidenti a fare notizia e ad essere diffusi in maniera più capillare. La maggior parte delle volte si tratta di incidenti legati a problematiche ben conosciute e divulgate, su cui cerchiamo di coinvolgere le amministrazioni locali o chi di competenza. Semplicemente ci si scontra con chi continua a fare orecchio da mercante e la situazione non cambierebbe nemmeno se scendessimo in piazza con un megafono. Non escludiamo, dovesse servire, di farlo in futuro.

Oggi, qual è la minaccia più grave per la sopravvivenza dell’orso bruno marsicano? 

Sicuramente il numero esiguo di individui rimasti: si tratta di una popolazione di circa 60 esemplari con tutto ciò che comporta anche a livello genetico. A questo si aggiunge la perdita e la frammentazione dell’habitat – dovuta alla costruzione di infrastrutture lineari e all’urbanizzazione – e la mortalità dovuta a cause antropiche: dai conflitti con l’uomo che, purtroppo, possono finire con l’uccisione diretta dell’orso, alle morti accidentali, come quella capitata ai due giovani orsi annegati o per investimento stradale.

Un’orsa con tre cuccioli si alimenta su una radura al tramonto (© Gianluca Damiani)

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