
dal progetto Storie di Lupi
Storie di Lupi: comunicare il lupo attraverso scienza, emozioni, immagini e parole. Nella seconda puntata della rubrica “Unisciti all’ululato”, seguiamo le avventure di un branco di “lupi di palude”, seguiti in Pianura Padana da Matteo Papa, fotografo naturalista e veterinario
Una sala autopsie, in effetti, non è il miglior luogo per avere il primo contatto reale con un animale che amo da più di vent’anni, anche se, facendo il medico veterinario, non è in fondo così innaturale.
Per la prima volta, dunque, mi trovavo davanti al mio animale preferito “in carne ed ossa” anche se, purtroppo, era finito su un freddo tavolo di acciaio; il nostro compito era conoscere i motivi per cui quell’animale era disteso su quel tavolo. Potevamo “approfittare” della situazione per scoprire quante più cose si potessero su una specie che stava facendo nuovamente capolino nella penisola italiana dopo essere stato, per almeno tre decenni, sull’orlo della scomparsa, grazie ad una caccia che aveva appunto mirato a farlo estinguere.
La cosa che più mi ha colpito, fin dal primo sguardo, era che quell’animale impersonificava in sé stesso sia il mio amore per i lupi, che il terribile mostro delle fiabe che le nostre ignare nonne ci insegnavano a temere ed in qualche modo a odiare. L’esemplare che avevo disteso davanti, poi, aveva anche un ulteriore caratteristica “patognomica” della antologica ferocia: era completamente nero, ad eccezione di una piccolissima macchia bianca sul petto.
Senza dilungarmi in cronaca ed esito dell’autopsia, mi limito a rispondere alla domanda che intravedo balenare negli occhi dei miei lettori: era un lupo assolutamente “puro”.

