
di Luca Olandesi
Campi di cui non si vede la fine, variopinti da mille sfumature ed ornati da bellissimi papaveri rossi e da margherite gialle, come il sole che ha scaldato il mio soggiorno nel centro Italia. Campi talvolta divisi da filari di querce e strade sterrate che rendono l’area ancora più selvaggia. Nella Tuscia viterbese è ancora possibile osservare uccelli davvero strabilianti che mi hanno emozionato moltissimo, dato che dove abito in città si vedono solo case e asfalto. Sto parlando, per esempio, del rigogolo (Oriolus oriolus), migratore a lungo raggio con un piumaggio appariscente e un verso melodioso. Altre perle si celano in questi luoghi: la stupenda ghiandaia marina (Coracias garrulus), il coloratissimo gruccione (Merops apiaster) riconoscibile dal suo caratteristico canto, l’upupa (Upupa epops) con la sua cresta sbarazzina e l’occhione (Burhinus oedicnemus) simpatico corridore abitante dei campi sfalciati.

Ma la regina di questi luoghi è l’albanella minore (Cyrcus pygargus) la cui esistenza è fortemente a rischio: i suoi nemici principali sono le macchine agricole e i parchi fotovoltaici, oltre alle colture intensive che impoveriscono il suolo a causa dell’uso di pesticidi, erbicidi e altre sostanze, portando alla riduzione della biodiversità. Per garantire la sopravvivenza di questa specie è necessario proteggere e recintare i nidi, preparati dalle femmine a terra per la deposizione delle uova. Infatti, osservandone il volo, si può capire dove può aver costruito il nido e proteggerlo con reti, per evitare la predazione da parte di mammiferi e altri uccelli predatori.

Tutto questo è possibile grazie all’intervento della LIPU (Lega italiana protezione uccelli) nei campi della provincia di Viterbo, nella regione Lazio.

Ho voluto comprendere meglio il progetto e, ad inizio maggio, insieme ad altri appassionati, ho partecipato al monitoraggio di diversi campi. L’obiettivo è stato quello di riuscire a trovare e recintare i nidi di questi rapaci, che sarebbero stati altrimenti danneggiati dalle macchine agricole, compromettendo la covata. Abbiamo, quindi, posizionato le reti, non solo per segnalare i nidi ai conducenti dei mezzi agricoli, ma anche per scoraggiare intrusioni da parte di animali selvatici e domestici. In zona è infatti comune osservare cani liberi vagare nei campi. Abbiamo esplorato il territorio, osservando i terreni coltivati a grano, coriandolo, avena ed altri cereali o semplicemente con erba da cui ricavare fieno per bestiame. Le albanelle minori prediligono campi con erba, più semplice da schiacciare, avendo lo stelo morbido, molto più comodo per il nido e per i giovani che nasceranno rispetto al grano dove lo stelo è nettamente più duro e compatto. Il nostro compito era osservare la femmina rientrare al nido dopo un rapido giro di ricognizione nei dintorni o dopo che il maschio le aveva passato in volo una preda per cibarsi durante la cova. Una volta osservato l’esatto punto dove la femmina incubava le uova, entravamo nel terreno, sfalciavamo una porzione di campo di circa sei metri di lunghezza e di larghezza e posizionavamo la rete elettrificata.

“Il progetto è iniziato negli anni ‘80 grazie all’intervento di una rete di volontari di Roma, e la nostra Associazione è entrata “a rimorchio” di Altura, altra istituzione operante nel settore. Ci siamo confrontati con Provincia e Regione nella fase iniziale del progetto, ma il lavoro più importante è stato quello di interagire con gli agricoltori che, a parte rare eccezioni, sono stati molto disponibili e con i quali abbiamo creato un ottimo rapporto, sempre attraverso un lavoro di sinergia, talvolta anche con l’intervento dei carabinieri forestali” racconta Enzo, delegato LIPU di Viterbo e coordinatore del gruppo di studio e conservazione dell’albanella minore.

“Questo progetto ci ha consentito di proteggere i nidi di questi rapaci, nel periodo che va da aprile, mese delle osservazioni, ad agosto, periodo in cui le giovani albanelle migrano verso l’Africa sub-sahariana” prosegue Enzo. “Abbiamo iniziato a collaborare con gli agricoltori già da diversi anni, in seguito ad alcuni episodi nei quali, durante lo sfalcio con attrezzature meccaniche, sono stati danneggiati dei nidi e i nuovi nati ne sono rimasti vittime”.
Ma come fanno i mezzi agricoli e i pannelli fotovoltaici a minacciare questa specie di volatile? I veicoli usati in agricoltura, oltre a causare notevole rumore, possono inavvertitamente schiacciare il nido con gli pneumatici, o uccidere i giovani rapaci da poco usciti dalle uova. Inoltre, la barra falciante rischia di imbattersi nei nidi, danneggiandoli irreparabilmente, mentre i pannelli fotovoltaici vengono installati sui campi sottraendo terreni utilizzabili per deporre le uova.
Nel 2006 la LIPU ha proseguito il progetto in autonomia, seguendo i trucchi e gli accorgimenti dei volontari precedentemente intervenuti in questa campagna di aiuto e di sensibilizzazione verso questa specie.

Grazie all’utilizzo della tecnologia GPS, i volontari della LIPU e i ricercatori dell’Università della Tuscia, hanno scoperto che le giovani albanelle migrano sempre a fine estate verso l’Africa sub-sahariana ed hanno dedotto, monitorando una giovane nata nell’estate del 2024, che le femmine del secondo anno, riconoscibili dall’occhio marrone a differenza delle adulte che lo hanno giallo, sono già fertili e contribuiscono, quindi, alla conservazione della specie. È il caso dell’albanella Vincenza, battezzata con il nome della proprietaria del campo, che ha nidificato vicino ad un’area archeologica. La giovane rapace volava a raggiera, si spostava molto frequentemente su un punto fisso e la cosa ha insospettito i volontari, che usando la strumentazione adatta hanno raggiunto il nido scoprendo con grande gioia che anche le albanelle del secondo anno riescono a riprodursi senza dover aspettare l’età adulta.
“Abbiamo posizionato delle fototrappole all’interno dei nidi” mi racconta Enzo, continuando a ragguagliarmi entusiasta per i risultati raggiunti, “ed abbiamo filmato un maschio adulto mentre tornava al nido con un grosso topo per alimentare i pulli, ma non essendo ancora capaci si nutrirsi da soli ed essendo compito della femmina spartire la preda equamente tra i giovani, si è limitato solo a consegnare il lauto pasto”.

“Quest’anno i nidi recintati sono arrivati a 22 e di questi solo 14 sono attivi, le altre nidificazioni sono purtroppo fallite quando i campi sono stati sfalciati e le cornacchie ed i gabbiani hanno mangiato le uova, ma il risultato ottenuto è stato comunque molto buono.” prosegue Enzo con voce piena di orgoglio.
Durante il progetto si è capito che con le reti metalliche, che sono strette ed alte, altri uccelli predatori non riescono ad entrare e i mammiferi predatori prendono la scossa appena toccano il reticolato.
In conclusione, credo sia davvero importante aiutare associazioni ed appassionati nello svolgimento di tali mansioni per proteggere gli animali minacciati dall’antropizzazione e dal continuo utilizzo di mezzi agricoli, pesticidi e da tutte quelle attività che influenzano negativamente la natura, creando rapporti di collaborazione tra le parti interessate per salvaguardare l’ambiente.



Leggere questo articolo fa capire quanto sia ricca e preziosa la biodiversità della nostra campagna, delle aree rurali talvolta solo frequentate da agricoltori e addetti ai lavori. Stupendo rapace l’Albanella!
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Grazie mille Alessia!
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